09 novembre 2005

Pensieri irreali

Sono andato qualche volta a sentire le sue lezioni al Caffè Parigi, non ci capivo molto, ma era bello vedere il suo volto come trasfigurato, tutto intento nelle parole che diceva, nelle verità in cui così fermamente credeva.
Per un periodo ho finto di abitare vicino a casa sua, conoscevo i suoi orari e tutte le mattine mi facevo trovare alla fermata del pullman con lo zaino in spalla, una sigaretta accesa per sdrammatizzare, per far finta di sentirmi a mio agio. La scortavo fino all'università, più che altro ascoltavo i suoi racconti e ascoltavo anche i suoi silenzi, così carichi di chissà quali pensieri. Non dava mai l'impressione di essere sempre un gradino sopra gli altri, ma lo era, definitivamente.
Io non le ho mai detto nulla di me, mi sentivo, e mi faceva sentire, come una presenza consueta, quasi trasparente, eppure fondamentale. Mi piace credere che mi considerasse uno dei suoi discepoli, tanto presi dalla letteratura. Invece io di letteratura non sapevo proprio nulla, lei aveva 40 anni, per quanto non li dimostrasse affatto, insegnava all'università; io poco meno di 20, frequentavo il liceo con scarsi risultati, soprattutto in italiano, e la cosa buffa è che in quel lungo anno di frequentazione io non sia mai riuscito veramente, nonostante la forte ammirazione che provavo per lei, ad interessarmi a ciò che, in fondo, la rendeva una persona così affascinante.
La conobbi una mattina, sedevo al bar della stazione, avevo un'aria affranta e il posacenere sul tavolino a cui ero seduto traboccava di sigarette. Quella mattina avevo tagliato, dovevo assolutamente preparare l'interrogazione di letteratura italiana per il giorno seguente, pena il rischio di essere ammesso con una grave insufficienza alla maturità. Il bar non era affatto pieno, a quanto mi ricordi, ma lei mi si avvicinò, fresca come se fosse già nel pieno della sua giornata alle 8.30 del mattino, "E' libero?", chiese e si sedette senza aspettare una risposta.
Io spostai il posacenere, farfugliando qualche parola tra scuse e consensi, e senza nemmeno guardarla in faccia mi ributtai tra le pagine del libro, bevendo quel caffè americano ormai freddo a metà. Mi sono sempre chiesto perchè, per quanto riguarda la letteratura, nel corso degli anni scolastici i libri diventino sempre più spessi, invece che ridimensionarsi e l'antologia di quinta era un vero mattone, sia morale che fisico.
"Sto tenendo degli incontri al caffè parigi sulla letteratura del novecento, magari ti possono interessare", disse avvicinandosi il posacenere, e si mise ad osservarmi. Io ero imbarazzato, ancora di più quando notai che era proprio una bella donna e che non aveva la fede al dito; quell'anno la primavera era molto calda, e lei indossava una camicetta leggera e scollata; io ero nel pieno della mia adolescenza ormonale e, oltretutto, ero anche decisamente imbranato in tutto quello che riguardava la sfera "donne". Il mio sguardo passava incontrollabilmente dalla scollatura alle labbra delicate che accoglievano la sigaretta come una bacio atteso a lungo; non avevo il coraggio di guardarla negli occhi.